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IL MESTIERE DI GUIDA TURISTICA
news ars maiora

 

La maggior parte dei ragazzi che si iscrive al corso di laurea in conservazione dei beni culturali o a corsi affini lo fa per passione, la minor parte forse per ripiego, come scelta alternativa a corsi apparentemente più impegnativi. 

Di sicuro nessuno opta per questa scelta per le prospettive di lavoro che si aprono dopo una formazione di questo tipo. Eppure, al termine del percorso accademico occorre cercare una propria collocazione nel mondo del lavoro, tentando, se possibile, di mettere a frutto quanto appreso in anni - per alcuni anni e anni - di studio. 

La via che ho deciso di intraprendere è l’attività di guida turistica, un’attività per il cui esercizio è necessario sostenere un esame di abilitazione dietro bando di concorso emanato dalla provincia nella quale si vuole esercitare la professione, nel mio caso la provincia di Milano.

Un esame che ho sostenuto (e poi superato), convinta che “sarebbe sempre potuto servire” ma determinata a trovare un impiego meno noioso e ripetitivo rispetto a quanto mi sembrava allora il mestiere di guida turistica.

Oggi, a distanza di quattro anni dall’esame e con parecchia esperienza nel campo, sono felice della scelta fatta.

Le professionalità e le strade verso le quali si potrebbe indirizzare un laureato in storia dell’arte non mancano ma in un panorama in cui per intraprende una già di per sé incerta carriera accademica, preparazione e competenza non sono sufficienti se non supportate dal sostegno di un professore; in cui i concorsi pubblici sono rari e comunque quasi sempre disegnati ad hoc, o meglio ad personam, per persone già inserite nell’ambiente, museale, bibliotecario, amministrativo che sia; in cui le case editrici sono in forte crisi, le gallerie d’arte fanno un ricorso spregiudicato allo stage o offrono retribuzioni inversamente proporzionali all’impegno lavorativo richiesto e le istituzioni museali, esaurito il serbatoio di risorse umane finora assicurato dal servizio civile, non possono offrire possibilità di impiego, il mestiere di guida sembra l’unico nel quale si possa contare solo sulle proprie forze.

Non mancano le difficoltà: si tratta di un settore saturo, di un lavoro saltuario che risente molto delle fortune e delle sfortune delle società o delle associazioni alle quali si forniscono le proprie prestazioni. Ma di certo non mancano le soddisfazioni, soprattutto se si pensa al ruolo formativo del proprio mestiere: non si tratta semplicemente di far passare piacevolmente una o due ore ai membri del gruppo, ma di far conoscere aspetti sconosciuti della città, che sia quella di residenza, quella del lavoro, quella che si viene appositamente a visitare, di coniugare la divulgazione, ossia la trasmissione di informazioni, all’educazione, fondamentale per far sentire come proprio e quindi come bene comune il patrimonio artistico. Solo avvertendolo come qualcosa di nostro, siamo invogliati a interessarcene, a prendercene cura e a cercare di tramandarlo intatto alle generazioni future, come vorrebbe proprio il termine latino patrimonium (pater - monium, beni ereditari che si tramandano da padre in figlio), con il quale da qualche tempo si designa il complesso dei beni artistici e paesaggistici.

Ed è in questo ruolo cruciale - più affine all’ambito dell’istruzione che a quello del turismo, almeno nella accezione più economicistica di quest’ultimo- che risiede la bellezza di questa professione che, grazie al confronto con luoghi e persone ogni volta differenti, regala sempre nuovi stimoli, aggirando il rischio della ripetitività che all’inizio avevo erroneamente associato all’esercizio di questo mestiere.

Chiara Salanti