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L’omaggio di Greenaway a Étienne-Louis Boullée
Architetto visionario la cui genialità emerge dal paradosso della mancata realizzazione della maggior parte dei suoi progetti. Boullée aveva previsto forme decisamente avanguardistiche per il secolo da lui vissuto.
Architetto e teorico francese del neoclassicismo, Étienne-Louis Boullée nasce a Parigi nel febbraio del 1728.
Pittore votato alla fede per la scienza ed il progresso, Boullée diventa architetto secondo il volere del padre, Claude Louis, a sua volta architetto a servizio del re.
Molto giovane frequenta gli ateliers di importanti architetti del periodo tra cui Jacques-François Blondel e Germain Boffrand, per approdare ben presto all’insegnamento all'École des Ponts a Parigi e diventare membro dell’Accademia Reale di Architettura.
L’amore per il disegno rimane la nota dominate della ricerca di Boullée che, nei progetti da lui realizzati (si veda ad esempio il progetto per la nuova sala della Biblioteca Nazionale di Parigi che riprende lo spazio della Scuola di Atene di Raffaello), fa omaggio di citazioni dei grandi artisti del passato.
I suoi lavori, oltre cento carte conservate nella Bibliothèque Nationale di Parigi, dimostrano il valore conferito principalmente agli aspetti progettuali e solo secondariamente alla loro eventuale realizzazione; il grande merito di Boullée è stato dunque proprio quello di dare dignità al disegno progettuale, realizzando vere e proprie opere d’arte.
Lo studio delle forme geometriche semplici caratterizza l’attività di un architetto visionario che, grazie al gioco teatrale delle luci e delle ombre, crea strutture che suscitano un forte impatto emotivo.
Le sfere, i coni, le piramidi, i cilindri diventano spazi da vivere, essi riflettono la perfezione che accompagna il pensiero illuminista.
Le forme sono indagate attraverso la simmetria e la ripetizione dei moduli, enfatizzate dalla necessità di affascinare attraverso l’uso di ombreggiature che preludono alla drammatizzazione romantica dell’Ottocento.
Il Cenotafio dedicato a Newton è certamente l’opera più conosciuta di Boullée, un omaggio alla genialità dello scienziato, una sfera cava di 150 metri che riproduce l’immensità dell’universo.
Il fascino esercitato dall’architetto sul pubblico si concretizza in un film omaggio del regista Peter Greenaway, uscito nel 1987, dal titolo The Belly of an Architect (Il Ventre dell’architetto). Il protagonista, ossessionato dalla figura e dalla ricerca di Boullée, è l’architetto americano Stourley Kracklite giunto in Italia per organizzare un’esposizione dedicata all’architetto francese.
Roma diventa palcoscenico di riflessioni senza tempo: l’impotenza dell’uomo sul proprio destino si confronta con la maestosità di monumenti eterni, giunti fino a noi per raccontare ere passate che sopravvivono nonostante il tempo, a discapito dell’individuo.
Kracklite, colpito da un tumore al pancreas vive nell’ossessione della riproduzione infinita della sua pancia che sovrappone a quelle di statue classiche e a elementi cilindrici di strutture architettoniche solenni.
L’arte, la fotografia, la scultura, l’architettura sono ripetutamente citate e reinterpretate diventando complici delle vicende dell’architetto e di sua moglie.
Lei porta in grembo l’inizio di una nuova vita, lui la fine. In questo doloroso percorso Kracklite scrive lettere a Boullée, che egli ritiene suo contemporaneo, nelle quali confida l’irrimediabile dramma che lo affligge.
Boullée e l’arte diventano un codice, un ponte tra l’irrimediabile finitezza dell’uomo e le imponenti e severe costruzioni classiche e neoclassiche.
È proprio il mausoleo per Newton ad essere spesso ripreso nelle scene del film, una sfera perfetta che diventa sarcofago e richiama la struttura fisica e la malattia del protagonista.
Boullée studia la natura e la riproduce con un filtro classicista, ne omaggia la grandezza e la maestosità negli edifici progettati dai volumi colossali e le forme elementari.
Così l’architetto nel suo Saggio sull’arte: «Oui, je le crois, nos édifices, surtout les édifices publics, devraient être, en quelque façon, des poèmes» («Si, io credo che i nostri edifici, soprattutto gli edifici pubblici, dovrebbero essere, in qualche modo, delle poesie»).
a cura di Francesca D’Aria